
LA DIPENDENZA DA INTERNET NEI BAMBINI. LA FINTA FELICITA’ NELLA SOLITUDINE VIRTUALE
L’età di accesso a smartphone e Tablet, è diminuita e non è raro, purtroppo, vedere bambini molto piccoli ipnotizzati dalle immagini che corrono sul piccolo schermo.
Permettere ai bambini di utilizzare liberamente questi strumenti, sembrerebbe un gesto innocuo, mentre può contribuire, insieme ad altri fattori, allo sviluppo di un comportamento di dipendenza. Le ragioni che innescano un comportamento di dipendenza sono molteplici e complesse, non tutti i bambini li sviluppano, tuttavia, l’età dei comportamenti dipendenti si è, purtroppo, abbassata. Con maggiore frequenza accogliamo nel nostro studio, bambini che dipendono dai videogiochi e dai social, gioco online, shopping e siti pornografici. I videogiochi sono attraenti ed offrono un senso di appartenenza e di autostima in un momento in cui il bambino cerca l’appagamento ai suoi bisogni di autoaffermazione. In realtà, si tratta di un falso senso di appartenenza basato su elementi superficiali che riguardano il mondo della prestazione: vincere o perdere, accumulare punteggi o soldi, sopravvivere o morire virtualmente. L’altra faccia della medaglia è una profonda solitudine ed una deriva emotiva determinata dall’incapacità acquisita a trattenere l’emozione pura connessa alle esperienze reali. Questo accade perché i nostri bambini e ragazzi diventano incapaci di regolare e gestire le emozioni e finiscono per dissociarle e spostarsi con atteggiamento dipendente verso un mondo comodo che non prevede un confronto diretto ne con il gruppo dei coetanei ne con la famiglia.
I videogiochi sono eccitanti e spericolati, ma senza conseguenze reali: un avatar, mosso dai comandi remoti, può compiere gesta spettacolari mentre il vero autore rimane comodamente seduto sul divano. L’esperienza vissuta attraverso il videogioco è globale, emozionante e potente e produce vere e proprie attivazioni fisiologiche (fisiologico significa normale, forse dovremmo dire alterazioni della fisiologia…) nel giocatore, infatti, attraverso il nervo ottico stimola alcune aree cerebrali, come il sistema limbico (che riguarda le emozioni) ed il sistema della gratificazione ad esso collegato. Avete mai osservato un bambino mentre “videogioca”? L’esperienza è di totale empatia emotiva, l’immedesimazione nel personaggio virtuale o avatar è totale, si agita realmente, si arrabbia, può dire parolacce ed imprecare, si accelera il battito cardiaco e così via. L’avatar diventa un vero e proprio alter ego, un ampliamento delle proprie capacità di azione e di comunicare agli antagonisti le proprie capacità. L’avatar diventa l’espressione della propria identità e su di lui si concentrano i propri desideri di valore, efficienza, appartenenza. Il videogioco diventa una fuga fantastica e non una reale educazione psicofisica in un momento dell’età evolutiva in cui il bambino, in questa particolare età della vita, attraverso le relazioni, il gioco, il movimento, l’esplorazione, dovrebbe imparare a fare i conti con le emozioni, con i successi, i fallimenti, con i bisogni e con i desideri. Le esperienze nel mondo reale comportano rischi, frustrazioni, fallimenti e successi, tutti elementi necessari allo sviluppo psicofisico sano del bambino.
Il mondo virtuale non ha conseguenze come il mondo reale.
Al contrario, il mondo virtuale non prevede le stesse conseguenze della vita reale, il bambino può illusoriamente sentirsi protetto, con il rischio di avere sempre meno stimoli verso l’esterno. I comportamenti che deve imparare a gestire possono spaventare un bambino e davanti ai propri limiti, spesso emerge il sentimento della vergogna. La vita virtuale è la piattaforma dove possono soddisfare facilmente desideri e bisogni senza mai affrontare la frustrazione e le delusioni che appartengono alla vita reale. Il mondo virtuale, offrendo questa finta sicurezza e questo “falso sé”, l’avatar, conduce immancabilmente ad una mancata educazione della vita alla vita stessa e ad una mancata e sana evoluzione del bambino che deve conoscersi, imparare i propri limiti e soprattutto le proprie risorse, imparare ad essere flessibile rispetto alle richieste interne ed esterne, personali e sociali, imparare a gestire i confini personali, ad ascoltare e regolare le proprie emozioni, a comprendere il contesto in cui vive, a sostenere la delusione e la frustrazione, ma anche il successo con equilibrio. Immergersi nel mondo virtuale rinunciando alla vita reale fa perdere ad un bambino l’opportunità di crescere come adulto sicuro.
DIPENDENZA DA INTERNET: QUALE COMPORTAMENTO POSSONO OSSERVARE I GENITORI?
Come per altre forme di dipendenza, vi sono dei comportamenti osservabili per capire se il proprio figlio è in difficoltà:
- Il figlio/a trascorre molto tempo online, tanto da andare a letto molto tardi oppure saltare i pasti, lo studio, lo sport o le uscite con gli amici.
- Si osserva un progressivo isolamento sociale ed un peggioramento del rendimento scolastico.
- Quando viene negato l’accesso ad internet, mette in atto comportamenti aggressivi, esplosioni di rabbia, ansia o depressione.
- Il bisogno di essere online diventa un pensiero fisso.
- Come in ogni comportamento di dipendenza, il ragazzo/a utilizza bugie per accedere ad internet o per negare di averlo fatto.
Se vi è capitato di notare questi segnali nei vostri figli non aspettate oltre a chiedere un sostegno. Ogni giorno vissuto in preda a questa forma di dipendenza è una perdita immensa per la vita dei bambini che va assolutamente arginata.
Dott.ssa Paola Fraschetti
Dott.ssa Paola Petrelli
Learn MoreDIPENDENZA PATOLOGICA: FORMAZIONE DI UNA PERSONALITA’ A RISCHIO NELL’INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA
La costruzione del sé, i meccanismi cognitivi e la relazione con l’altro.
Un bambino impara a costruire, nella sua testa, un modello in piccola scala (Kennet Craik, 1943), della realtà esterna e della realtà interna attraverso un processo che inizia dai primissimi momenti di vita attraverso il rapporto con le figure di attaccamento, ossia i genitori biologici o acquisiti.
La costruzione del sé, quindi, avviene attraverso i meccanismi cognitivi e la relazione con l’altro. Quando i genitori offrono al piccolo una base sicura, il bambino si sentirà libero e sicuro di allontanarsi per l’esplorazione e sicuro di poter tornare e di trovare un genitore che lo protegge, che esprime coerenza positiva nelle risposte, nel dare le regole, nel comportamento, nel manifestare affetto, nell’incoraggiarlo, nell’accogliere le emozioni del figlio ed aiutarlo a comprenderle ed a farne buon uso. Nei nostri articoli sulle emozioni, abbiamo sottolineato come queste siano strumenti fondamentali a comprendere cosa stia succedendo nell’ambiente ed a regolarsi di conseguenza, da qui si spiega l’importanza della regolazione delle emozioni.
Un bambino che vive in un ambiente favorevole, impara quindi ad ascoltare, a legittimare, e ad esprimere le proprie emozioni con intelligenza, competenza e quindi assertività, senza ferire l’altro. Quando il bambino cresce in un ambiente sfavorevole, scomodo, instabile, dove gli adulti rispondono in modo conflittuale oppure trascurante e distratto, impara che la famiglia è un luogo dove mancano la sicurezza, la tenerezza e l’attenzione, dove è inutile ed a volte controproducente mostrare le proprie emozioni, perché gli adulti rispondono in modo inadeguato: con fastidio, minimizzando, normalizzando oppure con teatralità ed invadenza. Il momento critico nello sviluppo psichico di un bambino oscilla tra i diciotto ed i trentasei mesi di età fino all’adolescenza, periodo in cui si struttura la personalità ed in cui, se l’ambiente è sereno, sicuro e favorevole, dovrebbe imparare ad integrare le rappresentazioni buone e cattive di se stesso e degli altri. In un ambiente sfavorevole, la capacità di integrazione tra le due rappresentazioni viene meno, sviluppando una sensazione di inadeguatezza di sé e nelle relazioni interpersonali. Il bambino che ha sofferto, struttura una personalità in cui regredisce con facilità, vedendo se stesso ed il mondo o tutto buono o tutto cattivo. Cancrini afferma che “ L’oggetto delle mei brame…viene alternativamente idealizzato (tutto buono come l’eroina “mamma”) e odiato (il mio male è tutto lì)” (cit. Luigi Cancrini “schiavo delle mie brame” pg. 10). La condotta è spesso irrazionale ed impulsiva e vi è una capacità di attivazione alle difficoltà molto bassa, che si abbassa ancora di più in una condizione di dipendenza.
DIPENDENZA O ABITUDINE?
Parliamo di abitudine quando la persona riesce ad integrare il suo oggetto del desiderio (sostanze, alcool, sesso, cibo, shopping, gioco d’azzardo, internet, ecc…), con la realtà, subordinandolo alle esigenze reali, riuscendo a rimandarlo e facendo uso in modo saltuario.
Parliamo di dipendenza vera e propria, quando l’oggetto del desiderio, diventa centrale nei pensieri e nell’organizzazione della vita di una persona, che viene completamente stravolta nella motivazione, negli obiettivi, nei valori. La dipendenza diventa l’abitudine, la norma, la quotidianità, il coinvolgimento è totale e continuo, si alza il limite di tolleranza, si innescano meccanismi di astinenza quando non c’è l’oggetto dal quale si dipende, vi sono sforzi reiterati e continui tenere a bada la propria dipendenza, l’abbandono di attività sociali e lavorative e malgrado i problemi continua a fare uso di sostanze oppure, alcool, oppure gioco o shopping, sesso promiscuo senza protezione.
16 luglio 2020
Dott.ssa Paola Fraschetti
Dott.ssa Paola Petrelli
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LO SVILUPPPO DELLA DIPENDENZA PATOLOGICA NELL’ADOLESCENZA
Un periodo molto sensibile per lo sviluppo della dipendenza patologica è l’adolescenza, in cui il ragazzo o la ragazza attraversano il conflitto tra il desiderio di restare accoccolati nel nido familiare e la spinta evolutiva verso l’autonomia dell’adulto.
ADOLESCENZA E COSTRUZIONE DELLA PROPRIA IDENTITA’ OLTRE LA FAMIGLIA
L’identità dell’adolescente è molto fragile perché si sta costruendo mediante tentativi di differenziazione dalla famiglia ed è cruciale che i genitori agevolino e favoriscano questi processi, lasciando andare in modo equilibrato, le briglie del figlio o della figlia affinché possa consolidare l’indipendenza psicologica per affrontare la vita.
ADOLESCENZA E COSTRUZIONE DELLA PROPRIA IDENTITA’ NEL GRUPPO
Oggi l’adolescenza può protrarsi fino ai trent’anni, perché sono cambiati gli stili di vita e i rapporti sociali, che includono il gruppo e i social network, in grado di condizionare in modo importante il comportamento dei giovani. La famiglia forma i figli attraverso i rapporti interpersonali che creano le condizioni di sicurezza o insicurezza interna, il gruppo degli amici ed i social, sono le esperienze di indipendenza dove l’adolescente sperimenta se stesso, il proprio valore sociale e come individuo, attraverso gli altri si misura, sentendosi competente oppure incompetente e “sfigato”. Gruppo e social incidono potentemente in questa fase della vita ed incontrano l’immagine incerta che l’adolescente ha di sé.
LA NOSTRA ESPERIENZA CON LE FAMIGLIE
Nel nostro studio, ciò che riscontriamo, nei colloqui con i genitori degli adolescenti e dei bambini, è una mancata capacità di comprensione e di elaborazione delle emozioni. In poche parole, mancala competenza emotiva. Il nostro lavoro di supporto, alle famiglie in difficoltà, è proprio quello di aiutarle a scoprire come si pensano e come si parlano per migliorare. La mancanza di elaborazione e di espressione degli stati emotivi, infatti, contribuisce a minare la sicurezza interna dei bambini e degli adolescenti.
UN AMBIENTE INSTABILE ED INSICURO: LIQUIDO
I fattori che facilitano il comportamento dipendente sono molteplici, anche l’ambiente sociale, che attraverso internet è sempre più “liquido”, instabile ed incerto e presente in modo invasivo, condiziona in maniera importante l’opinione che i giovani hanno di sé stessi e degli altri, soprattutto quando esiste la difficoltà a comprendere e regolare le proprie emozioni, componente fondamentale nella dinamica della dipendenza.
Dott.ssa Paola Fraschetti
Dott.ssa Paola Petrelli
10 Luglio 2020
Learn MoreLA DIPENDENZA PATOLOGICA: L’ILLUSIONE DELLA RICOMPENSA
Dipendere è un meccanismo che ci riguarda da vicino fin dalla nascita. In natura tutti i cuccioli hanno bisogno di dipendere fisicamente e affettivamente perché sia garantita la loro sopravvivenza.
Se il neonato non potesse contare sulla presenza dei genitori, non potrebbe resistere a lungo. Dal legame di attaccamento il bambino trae nutrimento, cure fisiche ed emotive e quella sicurezza che non può avere ancora da sé stesso poiché piccolo, indifeso e fragile.
Nelle relazioni parentali sane il bambino diventa man mano più autonomo perché acquisisce con la crescita la capacità di rendersi sempre più autonomo, pur sapendo che mamma e papà ci saranno se ne avrà bisogno.
LA BASE SICURA E’ GARANZIA DI AUTONOMIA
Questa sicurezza interna che il piccolo comincia a costruire mentre esplora, con le spalle coperte dai genitori, il piccolo grande mondo che lo circonda, rappresenta la base della sua autonomia futura, come adulto.
UN LEGAME D’ATTACCAMENTO MAL RIUSCITO PORTA CON SE’ DEI RISCHI RISPETTO ALL’AUTONOMIA.
Purtroppo, però la situazione ideale di attaccamento con base sicura, non si verifica sempre. Qualcosa può andare storto e la dipendenza naturale che caratterizza il legame d’attaccamento può gradualmente diventare disfunzionale fino a sfociare in una dipendenza patologica.
LA DIPENDENZA E’ UN TENTATIVO DI SFUGGIRE AL DOLORE
La famiglia delle dipendenze è piuttosto ampia e sarà nostra premura esaminarle tutte nel dettaglio, fino alle più recenti dipendenze dal web.
Intanto, è bene chiarire che la dipendenza si compone sempre di processi fisici e psicologici che hanno lo scopo di allontanare il dolore, la ricerca di momenti di ricompensa e di benessere in maniera inconsapevole ed istintiva, che provocano un circolo vizioso.
Il livello spesso nascosto e non compreso è proprio quello psicologico sebbene sia il più importante perché qualunque sia la sostanza o il comportamento che produce dipendenza, di fondo, viene a rappresentare sempre un’ancora di salvezza per affrontare la mancanza della base sicura interna.
Da un punto di vista fisico, la dipendenza può essere spiegata mediante le seguenti dinamiche:

- Addiction: è l’insieme degli effetti prodotti nel corpo
- Tolleranza: il modo in cui il sistema nervoso risponde all’introduzione della sostanza con una soglia sempre più elevata
- Astinenza: quando la sostanza non può essere assunta, si verificano squilibri psico-fisici importanti con estrema sofferenza, aggressività e perdita di controllo
- Craving: è il bisogno disperato di assumere la sostanza, per il quale la persona mette in atto una serie di condotte anche a rischio pur di soddisfare in maniera compulsiva il suo bisogno.
L’ampiezza della classe delle dipendenze è data dai numerosi oggetti preferenziali da cui si può dipendere, i quali sono preferiti dalla persona in base a caratteristiche dei suoi vissuti, della sua regolazione emotiva e del tipo di gratificazione ricercata.
L’ambiente familiare e l’educazione ricevuta hanno un peso notevole, come abbiamo accennato rispetto ai legami d’attaccamento, soprattutto nel mantenere oltre la soglia della dipendenza normale quello stato di fragilità emotiva che alimenta la dipendenza stessa.
Nella prossima pubblicazione cominceremo ad entrare nel dettaglio di questa tipo di disturbi e lo faremo parlando proprio della categoria che è alla base di tutte gli altri oggetti di dipendenza: la dipendenza affettiva.
Parleremo di amore malato, coppie simbiotiche e delle situazioni in cui l’amore e il partner diventano una vera e propria dose da assumere con le stesse modalità di una sostanza psicoattiva.
Dott.ssa Paola Fraschetti
Dott.ssa Paola Petrelli
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CRISI E SEPARAZIONI: COME LO PSICOLOGO E L’AVVOCATO POSSONO SOSTENERE
I motivi che portano una famiglia e una coppia a separarsi possono essere tanti: la nascita e la crescita di un figlio, la comunicazione che si interrompe, la competizione e il successo lavorativo, le fragilità, la qualità del legame, la dipendenza emotiva fino all’incapacità o impossibilità di soddisfare i propri bisogni. Al di là, delle diverse scintille che possono condurre a tale scelta, si tratta comunque di un evento molto doloroso e faticoso, come se fosse un lutto vero e proprio, una perdita insomma. I due partners si trovano all’improvviso a confrontarsi come due “sconosciuti”, incapaci di comprendersi all’interno di un dialogo che un tempo era abituale; scuotendo l’equilibrio e mettendo in discussione la stessa capacità di relazionarsi. E’ il sistema coniugale e familiare che entra in crisi, separando un modo di essere da un altro modo di essere. Crisi ha infatti tale significato…”separazione”, ma anche possibilità. Un’opportunità per trasformare un nuovo modo di vivere ed esistere, per recuperare la fiducia verso le proprie risorse senza rimanere schiacciati, passivi ed immobili sotto le macerie di un’unione ormai in frantumi. J.J. Davis ha detto:” Ogni crisi è come una moneta: da una parte porta con sé il pericolo, dall’altra l’opportunità. Capovolgete la moneta. Non perdetevi l’opportunità di emergere da questa crisi più forti e più intelligenti: dei sopravvissuti migliori”.Dunque separarsi non sempre corrisponde ad una guerra psicologica e giudiziaria, è possibile trovare un sano compromesso all’insegna della prevenzione dei minori e degli adulti coinvolti.
Il metodo di analisi e l’approccio scientifico scelto in collaborazione dall’Associazione CPCF( Centro Psicologico clinico e forense) (Bracciano e Ldispoli e dall’Associazione Sistemica APS (Ciampino) per occuparsi della famiglia (che può e deve sopravvivere all’evento della separazione) è interdisciplinare e globale, con il coinvolgimento e la collaborazione di più figure professionali. Il fine è quello di promuovere ed incentivare la creazione e la diffusione di una nuova cultura della separazione e del divorzio.
La metodologia intrapresa da ogni professionista dell’Associazione prevede la stretta collaborazione tra psicologi ed avvocati con l’obiettivo di migliorare la qualità della separazione, fornendo l’opportunità di un incontro autentico e non di conflitto. Il cambiamento prodotto dalla crisi familiare viene ascoltato, accolto e gestito attraverso la creazione di un clima empatico e di rispetto. Dove le persone non vengono giudicate ed etichettate, ma dove è possibile condividere le emozioni e i bisogni di ognuno, affrontando e dando significato alla sofferenza della separazione. La figura dello psicologo è d’aiuto nel sostegno delle emozioni e dei vissuti; grazie all’empatia e alla qualità dell’ascolto viene facilitato il processo di auto guarigione e di trasformazione dovuta al cambiamento. Insieme ad esso, l’avvocato avrà il compito e la responsabilità di non inasprire ulteriormente i toni del conflitto già di per sé delicato e doloroso, cercando di fare della separazione un momento di passaggio e non un campo di battaglia. L’obiettivo è anche quello di un serio cambiamento ideologico, in cui vengano considerate, ascoltate e messo al “centro” le persone e non l’evento della separazione come atto puramente giudiziario.
Dott.ssa Elisa Matani
Dott.ssa Paola Fraschetti
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LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
Con questo articolo mi rivolgo soprattutto ai non addetti ai “lavori”.
Sto scrivendo per futuri genitori e per coloro che genitori lo sono già. Non solo, mi rivolgo alle persone che, avendo avuto, come tutti, un legame d’attaccamento, vogliono capire qualcosa in più di se stessi.
Prima di parlare della Teoria vera e propria, introduco un concetto fondamentale della teoria formulata da Bowlby: Il bisogno di contatto si è selezionato nel corso dell’evoluzione per garantire la sopravvivenza della specie. I piccoli che piangevano e urlavano, riuscendo a richiamare l’attenzione della madre o chi per lei, avevano più possibilità di sopravvivere. ùLe urla ed il pianto del piccolo, così come lo stringere, l’abbracciare, il succhiare ed il sorridere, sono detti “comportamenti di attaccamento” e nel neonato sano sono ormai innati, frutto di migliaia di anni di comportamenti orientati alla sopravvivenza.
Tuttavia, il nutrimento e la sopravvivenza, non erano (e non sono) garantiti solo da gesti puramente meccanici, ma dalle emozioni e dai sentimenti che circolano attraverso il contatto e la cura. Ogni essere umano inizia la sua vita programmato per sentire il conforto attraverso il contatto: il Sistema di Attaccamento è diventato un’organizzazione psicologica che mantiene l’equilibrio in accostamento con il contatto.
La persona principale che si occupa del piccolo si chiama “figura di attaccamento”, il rapporto che s’instaura tra la figura di attaccamento ed il piccolo si chiama “legame di attaccamento”.
La “figura di attaccamento”, la madre o chi per lei, ha uno stile di risposta alle richieste del neonato, ossia al pianto, al bisogno di essere rassicurato, al bisogno di essere nutrito. Questo stile è stato studiato da Mary Ainsworth, una psicologa canadese allieva di John Bowlby, che svolse tre importanti studi tra i quali la Strange Situation, attraverso i quali riconobbe e definì gli “stili di attaccamento” con base sicura, con base insicura-ansiosa ambivalente e con base insicura ansiosa evitante. In seguito Mary Maid riuscì a definire un terzo stile di attaccamento con base insicura ansiosa, quello disorganizzato.
La Base sicura è caratterizzata dalla capacità di esplorazione, autonomia e fiducia;
La base insicura ansiosa ambivalente è caratterizzata dall’imprevedibilità delle risposte materne sempre diverse e mai scontate; il bambino non sa cosa l’aspetterà, ha risposte emotive sproporzionate che utilizza per gestire la figura di attaccamento ed attirare la sua attenzione.
La base insicura ansiosa evitante è caratterizzata dall’ostilità della figura d’attaccamento, il bambino mostra un’”autonomia forzata”, perché per mantenere la vicinanza della madre deve garantire a lei di non essere “infastidita”, per questo si isola, non mostra segni d’ansia né di preoccupazione che potrebbero causare una reazione di allontanamento da parte della madre, diventa presto autonomo.
La base insicura ansiosa disorganizzata è caratterizzata da un paradosso: una figura di attaccamento minacciosa. Il bambino dovrebbe trovare nella madre la sicurezza ed invece trova la minaccia, istintivamente si avvicina per farsi proteggere proprio dalla persona che gli causa paura. Si mettono in funzione contemporaneamente il sistema nervoso simpatico e parasimpatico, il sistema sicurezza ed il sistema minaccia: cosa deve fare il piccolo? Da chi può andare per essere protetto? Si adatterà alla madre che ha, non riuscendo ad organizzare un comportamento coerente, mostrerà comportamenti simultanei e contraddittori, incompleti o interrotti improvvisamente, esprimerà confusione e disorientamento, paura o preoccupazione nei confronti della figura di attaccamento.
Dott.ssa Paola Fraschetti
Bibliografia nella sezione specifica del sito.
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COPPIA E DIFFERENZIAZIONE: UN ATTO D’AMORE
“Se vi offrite al vostro partner come un mazzo di fiori dovreste almeno prima sistemare il regalo”
( Rilke & Mood)
Le relazioni sembrano spesso degli intricati grovigli, dove il movimento di uno è bloccato dalla posizione dell’altro, nella stessa misura. Spesso i vissuti emotivi nella coppia sono: sofferenza, tristezza, solitudine, frustrazione. Le crisi sono delle fasi della vita della coppia, dove i toni diventano più alti e dove vengono alla luce le reciproche difficoltà e gli “incastri” relazionali . Spesso questi “incastri” relazionali, dipendono da un modello ereditato dalla famiglia d’origine. L’eredità familiare, influisce nella vita di ogni persona inconsapevolmente, attraverso convinzioni ed modalità di percepire ed interpretare se stessi, gli altri e gli eventi che accadono, come una profezia che si auto avvera. Molte persone, quando iniziano una relazione, si offrono al proprio partner come un mazzo di fiori mal composto. Quindi con qualità che di per sé sono belle, ma delle quali la persona che le possiede non si è appropriata, quindi non può comporle in maniera armonica. Si può diventare veri proprietari del proprio giardino interiore, attraverso un lavoro psicologico che si chiama “differenziazione”. “La differenziazione è la capacità di mantenere il vostro senso del Sè quando il vostro partner è lontano o quando non vi trovate in una relazione d’amore d’importanza fondamentale. Date valore al rapporto, ma non cadete in depressione quando siete solo”(David Scnarch). La differenziazione permette di riconoscersi all’interno della famiglia nella quale si è nati, di riconoscere l’appartenenza e nello stesso tempo la propria unicità. Con la differenziazione, si acquisisce la capacità di aprire uno spazio alla vera intimità ed all’unione con l’altro, perché non si teme più di essere “invasi”,di sentirsi persi, confusi, soffocati. Differenziarsi è un atto d’amore verso se stessi e verso gli altri, significa costruire l’integrità del proprio sé in equilibrio con la relazione.
Dott.ssa Paola Fraschetti
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Gli stili di attaccamento e la relazione di coppia
Nei precedenti articoli abbiamo visto come, secondo la Teoria dell’Attaccamento (Bowlby) i diversi stili di attaccamento, sicuri ed insicuri vissuti con la figura d’attaccamento durante l’infanzia condizionano i rapporti dell’età adulta. I Modelli Operativi Interni che si formano, dei veri e propri script mentali, condizionano le aspettative su come si verrà trattati e su cosa si potrà ottenere dal partner, condizionano i comportamenti che a loro volta condizionano le risposte. Con il partner si ricostituiscono gli stili relazionali della fanciullezza, compresi tutti i conflitti non risolti, le paure e la speranza di ricevere cure disattese. Si esegue involontariamente la sceneggiatura dei conflitti del passato. All’inizio della relazione, la fase dell’innamoramento, sembra tutto “rose e fiori”, i partner sono attratti da una forza irresistibile, mostrano il loro lato migliore, desiderano compiacersi, si incontrano sulle qualità e le differenze sono spesso viste come positive, arricchenti e ben tollerate. Il tempo e la quotidianità, fanno emergere gradualmente il proprio stile di attaccamento definendo così i comportamenti e le aspettative che si attuano all’interno della relazione. C’è chi decide di cambiare se stesso in funzione dell’altro, relegando nello sfondo i propri bisogni e chi invece tenta di cambiare l’altro. Entrambe le strategie funzionano raramente e causano squilibrio ed insoddisfazione. Se siamo stati amati e protetti dai genitori, ameremo e proteggeremo noi stessi e il partner ripetendo lo stesso comportamento di amore che abbiamo ricevuto ed appreso. Non è scontato pensare che tra le tante cose che impariamo a fare, c’è anche il modo di amare e sentirsi amati. Quindi quando l’esperienza affettiva non è stata favorevole, ma siamo stati amati in modo ambiguo ed imprevedibile, oppure con ostilità o peggio ancora, maltrattati, tenteremo di replicare gli stessi comportamenti affettivi per tentare di correggere tali esperienze e cercare di ottenere una risposta finalmente diversa dalla persona amata. I comportamenti affettivi appresi nella famiglia di origine, portano ad instaurare relazioni basate sulla dipendenza o sull’autonomia. I partner possono essere molto dipendenti l’uno con l’atro oppure lontani. La coppia può funzionare bene quando i partner sono consapevoli del loro stile relazionale e di cosa si aspettano l’uno dall’altro, riuscendo a comunicare da un livello di responsabilità e comprensione le reciproche emozioni. Quando invece, manca questa consapevolezza, nella coppia nascono i conflitti supportati da una comunicazione non funzionale e da malintesi, perché ogni partner interpreterà il comportamento dell’altro attraverso i propri Modelli Operativi Interni, che determinano il modo di dare significato alle azioni ed alle intenzioni altrui e quindi i comportamenti che ne derivano. Anche per questo, pur nello stesso conflitto, gli stessi partner interpretano e reagiscono in modo differente. Ci saranno i più SICURI che ricercheranno l’intimità e manterranno la vicinanza. I PREOCCUPATI che diventeranno gelosi, controllanti, pressanti nel tentativo di gestire la propria ansia. Infine i DISTANZIANTI che negheranno il bisogno di attaccamento e tenderanno ad allontanarsi, a diventare freddi, critici, indifferenti. Quando una coppia od una persona inizia un percorso psicologico spesso è convinta che il problema sia l’altro e che i problemi possano essere superati quando l’altro cambierà, mentre per raggiungere una maggiore soddisfazione coniugale è importante comprendere il proprio comportamento sulla base del proprio stile di attaccamento ed imparare a riconoscere il comportamento del partner. Aumentare la consapevolezza della qualità dell’interazione, del tipo di comportamento che ognuno agisce e per quale motivo, permette ai membri della coppia di diventare reciprocamente e contemporaneamente, più empatici e comprensivi di abbassare il livello di conflittualità e di gestire le divergenze imparando a negoziare.
Dott.ssa Paola Fraschetti
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I TRADIMENTI NELLA COPPIA
“Insieme, come una coppia di pattinatori, su un terreno scivoloso”
(Film “Casomai”)
Il tradimento è, per entrambi i partner, un evento accompagnato da un vissuto doloroso, spiacevole, devastante, che porta con sé dei significati comunicati, a se stessi e all’altro, attraverso l’agire. Tradire significa “violare”, venire meno a un patto dal latino: tradere composto di tra oltre e dare consegnare. “Consegnare al nemico” (https://unaparolaalgiorno.it/significato/T/tradire). Consegnare ad un altra persona un messaggio (prenditi cura di me), rompendo il patto precedente con il partner.Il tradimento prevede un’appartenenza, è quindi un patto che si rompe.
Quando le proprie emozioni non sono chiare a chi le vive, quando non è sviluppata quella che Daniel Goleman chiama “Intelligenza Emotiva”, si agisce inconsapevolmente tradendo e non parlando. Il plurale nel titolo di questo articolo, è perché “i tradimenti”, sono tutto ciò che separa la coppia, tutto ciò che crea una distanza ed allenta le maglie dell’intimità e dell’affettività tra i partner. Il tradimento non è solo quello sessuale, che colpisce più di ogni altro perché ferisce l’intimità della coppia, l’area del tradimento ha dimensioni che non riguardano solo la relazione extra-coniugale. Oltre al tradimento più doloroso e difficile da “digerire” e da superare, quello sessuale, possiamo scoprirne altri, spesso più subdoli e difficili da riconoscere e da dichiarare perché basati su comportamenti corretti portati all’esasperazione, come il lavorare o l’occuparsi di un figlio oppure di un hobby, in modo eccessivo, che sottrae il tempo e lo spazio della coppia. Questi, come già detto, sono tradimenti subdoli ed anche comodi per entrambe i partner, laddove non ci siano la volontà e risorse personali per lasciare che i problemi emergano per essere affrontati, i partner, sono tacitamente ed implicitamente d’accordo nel “mantenere tutto tranquillo” e non cambiare mai. “ Meglio far finta di niente” è un motto ricorrente nelle coppie.
Dott.ssa Paola Fraschetti
Bibliografia
- “Intelligenza emotiva per la coppia” di John Gottman
- “Se l’amore tradisce: adultere, infedeli, sognatrici e ingannate” di Nicoletta Polla- Mattiot, Manuela Trinci
- “Amore liquido: sulla fragilità dei legami affettivi” di Zygmunt Bauman
- “Le cose dell’amore” di Umberto Galimberti
- “Donne che amano troppo” di Robin Norwood
- “Amori infedeli. Psicologia del tradimento” di Willy Pasini
- “La manutenzione dell’amore” di Umberta Telfener
- “Gli amori briciola”– di Umberta Telfener
- “Amare senza farsi male. Storie di donne e di uomini per imparare ad amare in due” di Nives Favero
- “L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita” di Alessandro D’Avenia
- Appunti tratti da una lezione del dott. Gennaro Scione Psicologo Psicoterapeuta (ARPCI)
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I MODELLI OPERATIVI INTERNI
Numerosi studi hanno dimostrato che Il nostro patrimonio genetico è influenzato dalle nostre esperienze soggettive e dalla nostra interazione con l’ambiente, in questo modo sopravviviamo e ci adattiamo selezionando gli elementi che costituiscono una minaccia alla nostra sopravvivenza e quelli che ci garantiscono sicurezza e protezione.
Il legame di attaccamento tra il neonato ed il caregiver, si sviluppa nella prima infanzia, Bowlby notò che il piccolo non ricercava solo il nutrimento materiale sotto forma di cibo, ma cercava soprattutto, un nutrimento fatto di protezione, di accudimento, di calore affettivo, di serenità, di delicatezza e di attenzione.
Attraverso la qualità della relazione di attaccamento (sicura o insicura ambivalente, insicura evitante, insicura disorganizzata) già dai primi momenti dalla nascita, il neonato impara, attraverso l’imitazione, un modo di percepire se stesso ed il mondo. Già dalla primissima infanzia, iniziamo a creare gli schemi cognitivi che sono la base del rapporto con noi stessi e con gli altri. Denominati Internal Working Model o Modelli Operativi Interni, questi schemi si costruiscono attraverso la relazione di attaccamento, costituiscono la rappresentazione interna di sé e degli altri, condizionano la nostra vita relazionale da bambini e da adulti. Sono come sentieri formati da tracciati neuronali creati da emozioni e da memorie emotive, che la mente percorre e ripercorre interpretando la realtà.
La parola modello, si riferisce alla struttura della relazione, la parola operativi, sottolinea la dimensione dinamica della rappresentazione interna. I MOI si mantengono come un modello di base, dei prototipi applicati in maniera generalizzata alle successive esperienze relazionali del bambino e poi dell’adulto. Sono resistenti al cambiamento perché agiscono al di fuori della consapevolezza dell’individuo, creando un circolo vizioso.
Percorrere lo stesso sentiero conduce sempre nello stesso nello stesso luogo, ripetere stabilmente i MOI nel tempo, offre risultati uguali o simili, confermando quella determinata percezione di sé e degli altri: LA PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA.
Tuttavia, attraverso un buon sostegno psicologico (quando necessario, una psicoterapia) è possibile modificare il nostro percorso o per lo meno renderlo più agevole, confortevole, sicuro.
Paola Fraschetti
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LA GENITORIALITA’ COME BASE SICURA
Tra le tante attività sulle quali la società dovrebbe investire di più per migliorarsi, il primo posto dovrebbe andare alla genitorialità. I genitori dovrebbero essere aiutati a diventare una base sicura per i propri figli, essere un “porto sicuro” ed un “sostegno attivo”, che aiuti il piccolo ad esprimere la propria curiosità ed il bisogno di esplorare, sviluppare la propria individualità ed il senso di autonomia. Un genitore che offre una base sicura al proprio figlio, partecipa attivamente al miglioramento della società, perché un figlio che sviluppa un legame di attaccamento sicuro diventerà un adulto completamente funzionante in grado di cooperare positivamente nella comunità.
Lorna Smith Benjamin, afferma che “il nostro compito come specie umana è di andare nel mondo e crescere meglio.”
Tuttavia, anche quando non sia stato possibile ricevere uno stile di attaccamento sicuro è possibile guadagnarlo, attraverso il sostegno psicologico, infatti, ogni persona, coppia e famiglia, se motivate, possono migliorare la tendenza relazionale, lo stile di attaccamento, per conquistarne uno più sicuro.
“Ad un certo punto della loro vita la maggior parte degli esseri umani desidera avere dei bambini e desidera anche che i propri figli crescano sani, felici, fiduciosi di sé […]. Essere genitori significa lavorare sodo. Dare tempo ed attenzione ai bambini significa sacrificare altri interessi e altre attività. Le prove di quanto sto dicendo sono indiscutibili. Infiniti studi […] attestano che gli adolescenti e i giovani adulti sani, felici e fiduciosi in sé stessi sono il prodotto di famiglie in cui entrambi i genitori forniscono ai propri figli una grande quantità di tempo e attenzioni.” (J. Bowlby, “Una base sicura”, 1989)
Per diventare dei genitori “sufficientemente buoni”, è necessario comprendere alcuni meccanismi umani fondamentali, scientificamente studiati e validati. Un comportamento necessario a garantire la sopravvivenza è quello di attaccamento.In psicologia l’attaccamento è il legame emotivo che unisce la madre al figlio ed il figlio alla madre, secondo Darwin e Bowlby, il legame di attaccamento sarebbe fondamentale per la sopravvivenza e per la formazione della personalità.
Il neonato umano, così piccolo e vulnerabile, alla nascita ha un cervello immaturo e non ancora completamente formato che si svilupperà nel corso degli anni durante i quali non è autosufficiente ma dipende dai genitori. Così come per sopravvivere, il neonato ha maturato nel corso dei secoli un “comportamento di attaccamento”, per attrarre la madre a nutrirlo e proteggerlo, anche la madre ha sviluppato un “comportamento di attaccamento” di risposta che ha imparato a sua volta dalla sua esperienza di attaccamento con la madre o chi per lei.
Nel corso dei secoli abbiamo selezionato ed ancorato al nostro patrimonio genetico comportamenti ed emozioni, orientati alla protezione dei figli, che prendono il nome di “investimento parentale”. La madre ha quindi una predisposizione innata che le consente di comprendere i segnali del figlio ed i bisogni, competenza necessaria per offrire al piccolo cure adeguate, regolari e costanti. Il legame di attaccamento, sarebbe diventato nel corso del tempo, una “programmazione genetica” che fa si che, soprattutto nelle situazioni di pericolo, si attivi il “sistema di attaccamento” che, a qualsiasi età, porta a chiedere il sostegno e la cura da quelle figure importanti per noi, che sanno proteggere.
I neonati sviluppano il legame di attaccamento verso una persona precisa dal primo anno di età. Nei primi mesi di vita possono trarre conforto anche da un’altra persona o anche più persone, tuttavia dal primo anno di età, il neonato avrà sviluppato con una persona in particolare il legame con la sua figura di attaccamento. Quando il legame è di base sicura il piccolo può partire verso le esplorazioni del mondo per poi tornare. La libertà e la serenità di esplorare il mondo, giocare da solo o con altri bambini, interagire con altri adulti, sviluppare la curiosità per altri spazi ed oggetti, è possibile quando la madre (oppure il caregiver), sa proporsi come colei sulla quale il bambino sa di poter fare affidamento, perché coerente nelle risposte e disponibile, pronta a proteggerlo quando necessario, accogliente e rispettosa delle caratteristiche del piccolo, mai critica, mai svalutante, mai iper o ipo protettiva, mai coercitiva, mai minacciosa, mai instabile o imprevedibile.
BIBLIOGRAFIA
- Ainsworth M,D.S.. Blehar M.C., Waters E. e Walls S. (1978). Patterns of attachment: A psychological study of the Strange Situation, Lawrence Erlbaum Associates Publishers, Hilldale.
- Attili Grazia. L’amore imperfetto. (2012). Società Editrice il Mulino. Bologna
- Bowlby, J. (1982). Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano.
- Bowlby, J.(1983). Attaccamento e perdita, Vol. 3: La perdita della madre, Boringhieri, Torino.
- Bowlby, J.(1989). Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Raffaello Cortina Editore, Milano.
- Carli, L.(1995). Attaccamento e rapporto di coppia, Raffaello Cortina Editore, Milano.
- Cotugno, A., Intreccialagli, B. (a cura di) (1994). La coscienza e i suoi disturbi, Melusina Editrice, Roma.
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ATTACCAMENTO:LA TEORIA DI BOWLBY
Con questo articolo mi rivolgo soprattutto ai non addetti ai “lavori”. Sto scrivendo per futuri genitori e per coloro che genitori lo sono già. Non solo, mi rivolgo alle persone che, avendo avuto, come tutti, un legame d’attaccamento, vogliono capire qualcosa in più di se stessi.
Prima di parlare della Teoria vera e propria, introduco un concetto fondamentale della teoria formulata da Bowlby: Il bisogno di contatto si è selezionato nel corso dell’evoluzione per garantire la sopravvivenza della specie. I piccoli che piangevano e urlavano, riuscendo a richiamare l’attenzione della madre o chi per lei, avevano più possibilità di sopravvivere. Le urla ed il pianto del piccolo, così come lo stringere, l’abbracciare, il succhiare ed il sorridere, sono detti “comportamenti di attaccamento” e nel neonato sano sono ormai innati, frutto di azioni orientate alla sopravvivenza utilizzate e selezionate nel corso di migliaia di anni.
Tuttavia, il nutrimento e la sopravvivenza, non erano (e non sono) garantiti solo da gesti puramente meccanici, ma dalle emozioni e dai sentimenti che circolano attraverso il contatto e la cura. Ogni essere umano inizia la sua vita programmato per sentire il conforto attraverso il contatto: il Sistema di Attaccamento è diventato un’organizzazione psicologica che mantiene l’equilibrio in accostamento con il contatto.
La persona principale che si occupa del piccolo si chiama “figura di attaccamento”, il rapporto che s’instaura tra la figura di attaccamento ed il piccolo si chiama “legame di attaccamento”.
La “figura di attaccamento”, la madre o chi per lei, ha uno stile di risposta alle richieste del neonato, ossia al pianto, al bisogno di essere rassicurato, al bisogno di essere nutrito. Questo stile è stato studiato da Mary Ainsworth, una psicologa canadese allieva di John Bowlby, che svolse tre importanti studi tra i quali la Strange Situation, attraverso i quali riconobbe e definì gli “stili di attaccamento” con base sicura, con base insicura-ansiosa ambivalente e con base insicura ansiosa evitante. In seguito Mary Maid riuscì a definire un terzo stile di attaccamento con base insicura ansiosa, quello disorganizzato.
La Base sicura è caratterizzata dalla capacità di esplorazione, autonomia e fiducia;
La base insicura ansiosa ambivalente è caratterizzata dall’imprevedibilità delle risposte materne sempre diverse e mai scontate; il bambino non sa cosa l’aspetterà, ha risposte emotive sproporzionate che utilizza per gestire la figura di attaccamento ed attirare la sua attenzione.
La base insicura ansiosa evitante è caratterizzata dall’ostilità della figura d’attaccamento, il bambino mostra un’”autonomia forzata”, perché per mantenere la vicinanza della madre deve garantire a lei di non essere “infastidita”, per questo si isola, non mostra segni d’ansia né di preoccupazione che potrebbero causare una reazione di allontanamento da parte della madre, diventa presto autonomo.
La base insicura ansiosa disorganizzata è caratterizzata da un paradosso: una figura di attaccamento minacciosa. Il bambino dovrebbe trovare nella madre la sicurezza ed invece trova la minaccia, istintivamente si avvicina per farsi proteggere proprio dalla persona che gli causa paura. Si mettono in funzione contemporaneamente il sistema nervoso simpatico e parasimpatico, il sistema sicurezza ed il sistema minaccia: cosa deve fare il piccolo? Da chi può andare per essere protetto? Si adatterà alla madre che ha, non riuscendo ad organizzare un comportamento coerente, mostrerà comportamenti simultanei e contraddittori, incompleti o interrotti improvvisamente, esprimerà confusione e disorientamento, paura o preoccupazione nei confronti della figura di attaccamento.

ESSERE SE STESSI: LO SVINCOLO DALLA FAMIGLIA
Lo svincolo dalla famiglia d’origine è un passaggio fondamentale per il benessere dell’individuo, per avere una buona relazione di coppia e creare una famiglia sana.
E’ Bowen a parlare di massa indifferenziata dell’io familiare, una sorta di corrente fatta di emozioni, prevalentemente inconsce, che scorre sotterranea alla famiglia connettendo i membri. Questa corrente emotiva, un’identità emotiva conglomerata, può influire nelle valutazioni, nelle scelte e nel comportamento di ogni familiare. Più gli elementi della famiglia sono indifferenziati, più subiscono le influenze psicologiche della corrente emotiva indifferenziata, mancando la consapevolezza, mancandolo lo svincolo e la realizzazione personale.
Lo svincolo di un figlio dalla famiglia d’origine è un processo di crescita verso l’autonomia che dovrebbe iniziare dalla nascita del bambino. Affinché il figlio, diventato giovane adulto, possa svincolarsi dai propri genitori, questi devono essere stati sufficientemente bravi e lungimiranti, avere chiara la differenza tra coppia genitoriale e coppia coniugale, essere stati in grado di stimolare l’autonomia del figlio e la fiducia in se stesso, averlo tenuto lontano dalle loro dinamiche di coppia, nel caso di un genitore vedovo o single, deve essere riuscito a lasciare libero il figlio dall’obbligo di sostituire il partner mancante.
Lo svincolo è la costruzione di una base solida. Entrambi i genitori devono agevolare l’uscita di casa dei figli essendo capaci di tollerare i sentimenti di vuoto e tristezza che ne possono derivare.
I figli, sentendo i genitori sereni e forti, si sentiranno autorizzati ad andare per la loro strada senza sensi di colpa. Al contrario, se i figli percepiscono che i genitori tentennano, ad esempio perché hanno bisogno di loro per smorzare le tensioni nella coppia, non riusciranno a lasciare la casa familiare e probabilmente rimanderanno la loro indipendenza, con il risultato di non riuscire a realizzarsi come adulti e come adulti in coppia. Una diversa reazione del figlio non svincolato, potrebbe esser quella di rompere bruscamente i rapporti con i genitori ed i familiari in una sorta di “fuga”, che illude che lo svincolo sia avvenuto. In realtà, lo svincolo è un processo interiore, i chilometri ed i muri, non possono sostituirlo, sono solo dei palliativi momentanei per prendere fiato ed illudersi di essere indipendenti ed individuati all’interno della massa indifferenziata della famiglia.
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L’IMPORTANZA DELL’ACCUDIMENTO NELLA PRIMISSIMA INFANZIA
Secondo la Teoria dell’Attaccamento (Bowlby), il modo di accudimento utilizzato nella primissima infanzia, influenza la costruzione della personalità nell’adulto che diventerà attraverso la formazione di alcuni schemi cognitivi chiamati Modelli Operativi Interni (MOI). Se l’accudimento presenta modalità distorte o carenti, si stabiliscono i presupposti per le quali una persona non evolve attraverso percorsi sani. L’espressione delle emozioni, la loro regolazione e i comportamenti del bambino e dell’adulto poi, sarebbero quindi fortemente condizionati dalla qualità dell’ accudimento ricevuto ed esperito in età precoce, durante il primo anno di vita.
Con questo primo articolo sulla teoria dell’attaccamento, iniziamo insieme a vedere il perché di quanto affermato sopra, partendo da una veloce sintesi scientifica.
Bowlby nasce come psicanalista, ma dall’analisi freudiana si distacca presto, perché non è convinto che alla base del rapporto madre/figlio vi siano pulsioni sessuali, ma crede che vi sia dell’altro. Lavorando come volontario in una scuola di ragazzi disadattati, Bowlby si convince che le difficoltà di quei giovani dipendono da un’infanzia infelice. S’interessa degli studi di Lorenz sull’Imprinting dei volatili e degli studi di Hinde e di Harlow sull’imprinting dei macachi , scoprendo così che le piccole scimmiette erano portate a cercare il caldo ed il morbido in una mamma- fantoccio fatta di gommapiuma, piuttosto che il cibo offerto da una madre-fantoccio di freddo metallo. Il nutrimento affettivo era più importante del cibo.
Nella specie umana, il legame del bambino con la madre si costruisce dalla nascita. Da uno studio svolto da Mary Ainsworth, il Ganda Project (1967), è emerso come l’attitudine del piccolo all’esplorazione era ininterrottamente dominata dalla capacità della madre di porsi come “base sicura”, da cui allontanarsi e a cui ritornare. Esplorazione e vicinanza, erano mantenuti in equilibrio tramite un controllo continuo, da parte del piccolo, della qualità della disponibilità e dall’attenzione della madre. Con il Baltimore Longitudinal Project (1968-1978), Bowlby avrà le conferme definitive sulla sua teoria, definita insieme alla Ainsworth “un approccio etologico allo sviluppo della personalità”.
Attraverso un’impostazione rigorosamente scientifica, Bowlby e Ainsworth, dimostrano come “l’espressione delle emozioni, la loro regolazione e i comportamenti, siano funzione del tipo di accudimento esperito in età precoce, durante il primo anno di vita, e come le regolarità nelle associazioni tra le risposte dei piccoli e le esperienze avute siano tali da consentire di raggruppare gli individui in tipologie specifiche“. (Ainsworth, Blehar, Waters, Wall, 1978)
Dallo studio emergeva che i bambini sin dalla nascita mettevano in atto una serie di comportamenti in modo preferenziale, questi comportamenti erano diretti verso una figura in particolare, in genere la madre, ad esempio il bambino piangeva se era la mamma ad allontanarsi ma non se si allontanava era un’altra persona. Questi comportamenti innati legati, al bisogno del bambino di sopravvivere, avevano lo scopo di mantenere la figura di accudimento il più possibile vicina a loro.
A sei mesi, questi comportamenti chiamati COMPORTAMENTI DI ATTACCAMENTO, finalizzati a promuovere la vicinanza e la prossimità con la madre, diventavano organizzati in modo più specifico e coerente, perché, in una gerarchia di figure familiari, quella di accudimento diveniva quella preferita ossia quella di riferimento principale, chiamata FIGURA DI ATTACCAMENTO, così che per i piccoli, diveniva difficile se non impossibile, superati i nove mesi, riprogrammare e rindirizzare le loro richieste verso un’altra figura.
PFP
Bibliografia
Grazia Attili ” Attaccamento e costruzione evoluzionistica della mente” Raffaello Cortina Editore, 2016
Bowlby “Attaccamento e perdita vol 1” Boringhieri, Torino 1972
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La crisi di coppia come rigenerazione del rapporto
Esiste una forza di attrazione magnetica che spinge misteriosamente due persone una verso l’altra a diventare stabili l’una per l’altra, ad unirsi nell’avventura esistenziale che fa nascere una coppia. C’è chi parla di ormoni e chi di amore romantico, chi di Modelli Operativi Interni (MOI). Certo è che nella fase detta “dell’innamoramento”, le due persone si trovano in uno stato di grazia, che li fa sentire unici e speciali sopra ogni altro essere umano, e così gli innamorati, ubriachi di endorfine, in uno stato simile ad una allucinazione che altera le percezioni ed esalta ogni attimo vissuto insieme, credono, illudendosi, che questa condizione duri per sempre. Non a caso gli antichi Greci parlavano dell’innamoramento come di “divina mania”, intendendo così uno stato psicologico che s’impossessa delle persone che si fondono senza limiti e confini e soffrono del “mal d’amore”quando l’amato non è presente. Secondo Johnson, questo modo di amare, molto idealizzato, è peculiare della società occidentale, un “pacchetto psicologico” completo di credenze, ideali, inclinazioni ed aspettative. L’amore di coppia per alcune culture orientali, significa invece premura e rispetto, senza implicazioni troppo idealistiche.
Fino agli anni ’60 del 900, le persone cercavano nel partner soprattutto sopravvivenza e stabilità, una persona salda sulla quale poter contare nelle difficoltà della vita. Canevaro (1990,1992) parla del concetto di “amore romantico”, una relazione amorosa che assume particolari caratteristiche come l’essenza effimera che lo porta a dissolversi, inducendo nei due partner sentimenti di delusione e nostalgia per quei momenti indimenticabili. La nostalgia dei momenti indimenticabili è uno dei motivi per i quali la coppia entra in crisi, ogni protagonista della storia d’amore s’incanta in una sorta di missione impossibile, cercando di riportare quello stato alterato di emozioni ed inizia a produrre richieste, pretese, pensieri critici su di sé e sull’altro, innescando un circolo vizioso di recriminazioni, sulle quali agiscono anche le credenze provenienti dalla propria storia familiare e dalla propria esperienza.
E’ questa la circostanza in cui la coppia può riconoscere il lato effimero dell’innamoramento e dell’ideale romantico, è uno dei periodi più dolorosi e nello stesso tempo liberatori per la coppia, ed è anche il momento in cui in una coppia può nascere un amore più vero e concreto, dove però i partner si trovano sforniti di strumenti per gestire questa nuova consapevolezza e spesso si allontanano, non riuscendo a rigenerare il rapporto. Il rapporto di coppia, che sia matrimonio oppure convivenza, non è un fine come si vede nei film romantici, ma l’inizio di un percorso a due, difficilissimo, pieno d’insidie e nello stesso tempo ricco di opportunità. Il rapporto di coppia è un vero e proprio laboratorio alchemico, perché l’amore si costruisce passo dopo passo senza idealizzare se stessi o l’altro.
Come può evolvere e come può trasformarsi una relazione che vive il momento di smarrimento e disincanto? Antoine de Saint-Exupeéry dice “l’Amore è forse quel delicato processo attraverso il quale ti accompagno all’incontro con te stesso”. E’ nella condivisione delle fragilità, nel vedersi differenti dall’altro e nell’accettarsi reciprocamente come tali, nello scoprire i propri schemi cognitivi relazionali, i Modelli Operativi interni (MOI), nella creazione di un dialogo profondo ed autentico che possiamo trovare noi stessi e l’altro creando un rapporto reale e maturo.
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LA COPPIA E LE FAMIGLIE D’ORIGINE
“L’Amore è forse quel delicato processo attraverso il quale ti accompagno all’incontro con te stesso”. Antoine de Saint-Exupeéry
Il rapporto di coppia, che sia matrimonio o convivenza, non è un fine come si vede nei film romantici, ma l’inizio di un percorso a due, difficilissimo, pieno d’insidie, perché l’amore si costruisce passo dopo passo senza idealizzare se stessi o l’altro.
“L’inizio di un percorso a due”, evidenzio questa frase perché nasconde un significato profondo non chiaro, non evidente, anche se percepibile, i partner non sono soli, quando due persone s’incontrano, si presentano, s’innamorano, decidono di formare una coppia, dietro di loro ci sono le famiglie d’origine, i legami profondi, le credenze, i miti familiari, le abitudini.
Quali sono le influenze che provengono dalle nostre famiglie e che influenzano inevitabilmente il nostro modo di vivere la relazione? Qual è lo schema di attaccamento, o Modello Operativo Interno, che ogni partener ha sviluppato durante i primi anni di vita attraverso il legame di attaccamento con la madre o chi per lei?
Dare risposte a queste domande significa iniziare un percorso a due, attraverso la consapevolezza di sé, del proprio funzionamento affettivo, del funzionamento della famiglia d’origine, della comprensione della storia familiare ed affettiva dell’altro.
Vuol dire scoprire di far parte di un sistema, il sistema dal quale proveniamo, e di esserne usciti solo a parole. Un sistema che s’incontra, spesso scontrandosi con un altro sistema.
La famiglia è parte di noi e noi siamo parte di lei, ma possiamo valutare la distanza ed i confini quando questi non sono così chiari e decidere amorevolmente di definirci come individui. Questa differenziazione dalla famiglia di origine ci offre la possibilità di creare una nuova coppia ed un nuovo nucleo familiare con maggiore consapevolezza e libertà.
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Famiglia: l’importanza dello svincolo
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Learn MoreIl ciclo della famiglia e le crisi personali, di coppia e familiari
Jay Haley individuò il “ Ciclo della Famiglia”, una successione di eventi che scuotono la routine familiare e la sua struttura spingendo al cambiamento. Ogni ciclo rappresenta un passaggio che prevede l’uscita o l’entrata, fisica e psicologica, di un elemento della famiglia: il corteggiamento, il matrimonio, la nascita di un figlio, l’educazione dei figli e la scolarizzazione, l’emancipazione dei genitori dai figli e dei figli dai genitori lasciando il nido vuoto, il pensionamento, la vecchiaia, la morte.
Se durante uno di questi passaggi, la famiglia non riesce a trovare le risorse per lasciare che avvenga il cambiamento, ostinandosi nel mantenere la situazione statica, s’interrompe e si blocca un processo evolutivo che come ricaduta provocherà un disagio a carico di un familiare oppure di tutti i componenti della famiglia. (altro…)
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Amore sano e amore malato
La depressione è un’emozione più complessa di quelle primitive come la paura o la felicità. Uno dei motivi per i quali il tono dell’umore può virare verso una depressione, è quando l’individuo, sentendosi minacciato proprio dalla figura di accudimento, sperimenta la minaccia proprio da chi dovrebbe dargli sicurezza ed il suo sistema di sicurezza va in tilt, si “spegne”, si blocca.
Secondo Lorna Benjamin, la rabbia e la depressione sono indicatori di un tentativo di adattarsi all’ambiente, di risolvere un problema. (altro…)
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Esiste una misteriosa forza di attrazione magnetica che spinge inesorabilmente due persone una verso l’altra, a diventare stabili l’una per l’altra, ad unirsi nell’avventura esistenziale che fa nascere una coppia.
C’è chi parla di ormoni e chi di amore romantico, certo è che nella fase detta “dell’innamoramento”, le due persone si trovano in uno stato di grazia, che li fa sentire unici e speciali, sopra ogni altro essere umano, in uno stato di allucinazione che altera le percezioni ed esalta ogni attimo vissuto insieme, credendo, illudendosi, che questa condizione duri per sempre. (altro…)
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