
Molte persone vivono un rapporto complesso con il cibo, fatto di sensi di colpa, restrizioni,
abbuffate o fame continua. Spesso si pensa che il problema sia nel corpo o nella forza di volontà.
Ma la verità è che, dietro questi comportamenti, si nasconde qualcosa di molto più profondo:
una fame emotiva, un bisogno affettivo che non ha trovato risposta.
Che cos’è la fame emotiva?
La fame emotiva è quella sensazione di “fame” che non nasce nello stomaco, ma nel cuore. Non ha
a che fare con un reale bisogno di nutrirsi, ma con il tentativo di calmare emozioni difficili:
solitudine, ansia, stress, tristezza o senso di vuoto. Il cibo diventa una forma di autoconsolazione,
una risposta automatica a un malessere che spesso non si riesce a nominare.
Quando il cibo diventa rifugio emotivo
Durante il percorso di crescita, se non riceviamo affetto, ascolto e contenimento emotivo in modo
costante, possiamo sviluppare strategie di sopravvivenza che coinvolgono il corpo. Una di queste è
proprio l’uso del cibo come strumento di regolazione affettiva. Si mangia per sedare l’ansia, per
sentirsi meno soli, per riempire un vuoto invisibile, per scaricare la rabbia.
Questa dinamica non riguarda solo chi ha un disturbo alimentare riconosciuto, ma può manifestarsi
in moltissime persone in modo sottile, subclinico e cronico. È importante riconoscerla senza
giudizio, come un adattamento intelligente a una mancanza profonda.

La relazione con il cibo racconta una storia
Ogni comportamento alimentare ha un senso, una storia da raccontare. Il corpo parla il linguaggio
delle emozioni: ascoltarlo con rispetto è il primo passo per una trasformazione autentica. In
psicoterapia, la relazione con il cibo può diventare una chiave preziosa per entrare in contatto con
parti di sé che sono rimaste a lungo inascoltate.
Psicoterapia e alimentazione: un approccio integrato
Nel mio lavoro clinico integro diversi approcci — tra cui la teoria dell’attaccamento, il modello
sistemico-relazionale, la visione post-costruttivista e la Compassion ocused Therapy, la
mindfulness — per aiutare le persone a esplorare il significato profondo del loro rapporto con il
cibo.
Non si tratta di “controllare” la fame emotiva, ma di comprenderla. Di dare spazio ai bisogni
nascosti, alle emozioni non espresse, alle ferite relazionali che ancora oggi chiedono ascolto.
Come guarire dalla fame emotiva?
La guarigione non passa per la forza di volontà o per una dieta più rigida, ma attraverso un processo
di riconnessione interiore, che coinvolge mente, corpo e storia personale.
Alcuni passi fondamentali:
Riconoscere la fame emotiva: imparare a distinguere la fame fisica da quella affettiva.
Accogliere le emozioni: dare spazio a ciò che si prova senza giudizio.
Ascoltare il corpo: invece di combatterlo, iniziare a dialogare con lui.
Riconnettersi con la propria storia familiare: esplorare le esperienze precoci, le relazioni
affettive e gli eventuali traumi che hanno contribuito a dare al cibo un significato emotivo.
Comprendere questa connessione è spesso il primo passo verso una trasformazione
profonda.
Curare la relazione con sé stessi: sviluppare auto-compassione e consapevolezza.
Intraprendere un percorso di psicoterapia: lavorare con una professionista esperta può
aiutare a dare senso alla fame emotiva e trasformarla in un’occasione di cura e crescita.

Conclusione: nutrire sé stessi oltre il cibo
Il cibo è una risorsa, ma non può sostituire l’affetto, la sicurezza, il riconoscimento di cui tutti
abbiamo bisogno. Quando impariamo a prenderci cura delle nostre ferite emotive, il bisogno di
rifugiarci nel cibo perde forza. Possiamo allora iniziare a nutrirci in modo più pieno: con relazioni
vere, con parole gentili, con uno spazio sicuro dentro e fuori di noi.
Bibliografia
- Bowlby, J. (1969). Attachment and Loss: Volume I. Attachment. New York: Basic Books.
- Maté, G. (2019). Il prezzo del dolore. Le cause profonde della dipendenza, e come
curarla. Milano: Edizioni Tlon. - Liotti, G., & Farina, B. (2011). Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della
dimensione dissociativa.Milano: Raffaello Cortina - Guidano, V. F. (1987). Complex Cognitive Therapy: A post-rationalist approach to the
cognitive therapy of personality disorders. New York: Guilford Press. - Minuchin, S. (1974). Families and Family Therapy. Cambridge: Harvard University Press.