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Giudizio e senso di inadeguatezza: due emozioni difficili che condizionano la vita

giudizio

Nel mio lavoro ogni giorno incontro persone che temono il giudizio altrui, ne sono condizionate profondamente e che si sentono profondamente inadeguate. La loro attenzione è sempre rivolta verso l’esterno, l’altro fuori di sé, l’altro come specchio che rimanda sempre una immagine orrenda ed inaccettabile.

Anche quando l’altro in realtà fa dei complimenti sentiti, questi non vengono recepiti e creduti veri: perché? Perché la nostra mente prende per buono tutto ciò che trova coerente con ciò che ha appreso dai suoi più importanti insegnanti: i genitori o chi per loro. Di conseguenza, se la credenza che una persona ha di sé stessa è di essere inaccettabile ed inadeguata (ovvero ha un giudizio negativo) , nulla che sarà al di fuori di questo sarà creduto come vero.

Per affrontare questo tema è necessario parlare di autostima. Come esseri umani siamo enormemente condizionati dal sistema di apprendimento, che ci permette di conoscere il mondo attraverso l’esperienza dei nostri genitori

L’autostima: un sistema continuamente attivo di processi autoriflessivi sul valore di Sé

L’autostima è una condizione del sé che si inizia a costruire da piccoli attraverso le relazioni d’attaccamento (genitori o caregiver) che ci forniscono la cassetta degli attrezzi per comprendere il mondo e sono lo specchio attraverso il quale impariamo ad attribuirci un valore.

Le difficoltà più o meno gravi che le persone manifestano si collegano spesso alle regole apprese durante l’infanzia, espresse dai genitori o caregiver.

Le relazioni d’attaccamento vanno a costruire nel bambino dei modelli operativi interni (MOI) che si tramutano in “processi di copia”. I processi di copia sono dei “modelli” che implicano un significato ed il relativo comportamento, una sorta di “copione”: Essi si esprimono in tre “ordini interiorizzati” a cui la persona obbedisce inconsciamente:

  1. Imitazione: “Devi essere come lui/ lei”
  2. Ricapitolazione: “Agisci come se lui/lei fosse qui e avesse il controllo”
  3. Introietto: “parlati e tratta te stesso come faceva lui/lei” (ovvero come mamma o papà o chi per loro)

Nel momento in cui, più autonomi, iniziamo ad entrare nel mondo delle relazioni più ampie, utilizziamo i nostri modelli operativi interni ed i processi di copia. Utilizziamo la nostra cassetta degli attrezzi, per fare previsioni su come saremo considerati e su come andranno le cose.

L’opinione che abbiamo di noi stessi ci influenzerà nel comportamento e le risposte comportamentali che riceveremo (successo/ insuccesso, inclusione/esclusione) saranno una conferma di ciò che noi crediamo di noi stessi. Il gruppo dei pari è la prima palestra nel quale iniziamo ad avere contezza del nostro valore sociale e attraverso cui inizieremo a sperimentare i tre processi di copia.

Il dialogo interno: eliminare il giudizio e fare spazio all’accoglienza

Lo stile di attaccamento dei nostri genitori, il modo in cui si rivolgevano a noi, la qualità delle loro risposte al nostro bisogno di attaccamento, la qualità del tempo dedicataci e tante altre situazioni, hanno contribuito a creare il nostro dialogo interno, che Lorna Smith Benjamin chiama “introietto”. Quando la nostra base è sicura, allora il nostro dialogo interno è accogliente, fiducioso, costruttivo, amorevole, adulto. Quando la nostra base è insicura ansiosa evitante o ambivalente, il nostro dialogo interno si baserà su un aspetto critico, giudicante e svalutante, diretto a noi stessi. Il risultato è sentire spesso di “non essere abbastanza” oppure di “non aver fatto abbastanza”, di essere inadeguati, di sentirsi “impostori” ossia non meritevoli dei risultati raggiunti.

Critica e giudizio possono essere utilizzati a piene mani verso sé stessi o/ e verso gli altri, perché non sono stati appresi altri modelli comportamentali. Non solo. Spesso nell’azione inconsapevole di mantenere attivi i comportamenti disadattivi (in questo caso quelli giudicanti) vi è il desiderio della persona di proiettare le figure di riferimento genitoriali interiorizzate sulle nuove relazioni (partner, amici, datore di lavoro, ecc.) nella speranza (spesso vana) che queste ultime, prima o poi, si comporteranno in modo diverso riparando le ferite causate, scusandosi e riconoscendo il valore e l’amorevolezza della persona.

Il “dialogo introietto” secondo Lorna Smith Benjamin

La Benjamin afferma che il paziente esegue i propri comportamenti problematici credendo che, attraverso di essi, riuscirà, prima o poi, ad ottenere una riconciliazione e l’approvazione delle figure genitoriali interiorizzate. I sintomi che la persona manifesta esprimono questo legame e questa speranza. Quando una persona continua a giudicarsi, ad essere convinta di essere inadeguata, di non aver fatto abbastanza, di dover raggiungere la perfezione e che gli altri la giudicheranno, sta continuando ad obbedire ad un condizionamento introiettato di inadeguatezza, diventato un dialogo interno.

Ad un certo punto della terapia, diventata consapevole di quanto affermato nelle precedenti righe, una paziente mi disse: “è come se avessi ingoiato mia madre, ed è lei che continua a parlare dentro di me!”

La differenziazione dalla famiglia

A questo punto è importante sottolineare che nonostante Il comportamento sia influenzato automaticamente dai modelli operativi interni (MOI), la persona è potenzialmente in grado di agire in modo indipendente dai condizionamenti dell’esperienza e dai condizionamenti, perché ogni essere umano può attingere alla volontà, che Assagioli definiva “la funzione fondamentale”.

In un percorso di psicoterapia, attraverso il lavoro di differenziazione dalla famiglia e il riconoscimento dei propri Modelli Operativi Interni, è possibile individuare le motivazioni ed il desiderio che alimentano il tessuto dei processi di copia, ossia le istruzioni apprese rispetto ai significati del mondo e di sé stessi, fino ad interrompere la coazione a ripetere i dialoghi interni ed i comportamenti appresi ed ereditati rendendosi liberi dai vissuti emotivi dolorosi ad essi collegati.

Bibliografia

L.S. Benjamin, “Terapia ricostruttiva interpersonale“, Raffaello Cortina Editore

A. Gorrese, “I volti della tristezza”, Liguori Editore

J: Bowlby, ”Attaccamento e perdita”, Bollati Boringhieri

J. Holmes, “La teoria dell’attaccamento. John Bowlby e la sua scuola“, Raffaello Cortina Editorie

J. Fisher, “Trasformare l’eredità del trauma”, Mimesis Edizioni

P. Fonagy, G. Gergely, E. Jurist, M. Target, “Regolazione affettiva, mentalizzazione e sviluppo del sé “, Raffaello Cortina Editore

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