Il paragone mina l’autostima
“Ti svaluterò paragonandoti ad altri, per ottenere da te ciò che voglio”
Il paragone si erge come un’ombra lungo il sentiero dell’autorealizzazione e delle scelte di vita, costringendo sé stessi ad un perpetuo raffronto e conflitto con gli altri.
Questo argomento è sempre presente nella mia professione di psicoterapeuta: i confronti che subiamo durante la crescita sono come mine che danneggiano la nostra autostima fin da bambini. Sono spesso negativi (soprattutto tra fratelli) e possono portare a risentimenti e compromettere i rapporti nel lungo termine. Inoltre, i figli, possono percepire differenze nell’affetto ricevuto dai genitori.
Il paragone è una strategia di controllo, utilizzata per ottenere dall’altro ciò che si desidera. Nel mio lavoro da psicoterapeuta, spesso ne trovo la loro manifestazione: pazienti che subiscono pressioni dal datore di lavoro oppure dal partner che confronta l’attuale amore con quelli passati. Questo atteggiamento, anche se in buona fede, ha come risultato indebolire l’identità dell’altro.
La perdita della propria unicità nel paragone
Spesso si pensa che confrontare le persone sia un modo efficace per motivarle attraverso la competizione. Dalla mia esperienza, questo approccio raramente porta alla crescita personale; più comunemente, la persona si impegna non per migliorarsi ma per dimostrare di essere all’altezza degli altri oppure, paradossalmente, di non esserlo: rimane vittima della manipolazione del confronto.
Questo modo di pensare non favorisce lo sviluppo individuale, ma tende ad alimentare cicli viziosi di aspettative e giudizi, spingendo costantemente verso obiettivi sempre più elevati, estenuanti e spesso irraggiungibili. Lo scenario che si prospetta è il favorire di sentimenti contrastanti:
- sentimenti di inadeguatezza: “non è mai abbastanza”, “mi sento un impostore”, “se sapessero che non valgo nulla”;
- sentimenti di onnipotenza: “io sono il migliore”;
- inibizione dell’identità a tal punto da spegnere la motivazione intrinseca di una persona, le sue aspirazioni e le sue azioni, provocando frustrazione e sintomi depressivi.
In teoria sappiamo che confrontarsi eccessivamente con gli altri sia un sentiero tortuoso, un viaggio dove la propria unicità si smarrisce. Questa verità è scolpita nei nostri pensieri dove il confronto si trasforma in un’eco di disarmonia interiore.
Possiamo essere positivamente ispirati da una persona che ci colpisce per le sue qualità e abilità e aspirare anche noi potenziare e arricchire le nostre capacità, ma lo stimolo ricevuto per migliorare è ben diverso dal confronto continuo e spesso impietoso verso sé stessi e verso gli altri.
L’erba del vicino è sempre più verde
Il paragone è spesso un inganno tessuto con fili d’ombra, che ci confonde nell’illusione di paragonarci solo con le nostre lacune, smarrendo la nostra vera essenza. Un sentiero d’inesauribile fatica per il proprio essere. Si tratta di uno specchio distorto, da cui emergiamo sempre sconfitti, poiché, per quanto ci sforziamo di imitare, non potremo mai incarnare un’altra persona.
Se abbracciassimo tale illusione, ci condanneremmo a un perpetuo autorimprovero: il confronto dei nostri passi con quelli altrui, che sembreranno essere fatti in un giardino dove l’erba del vicino sarà sempre più verde del nostro.
Come superare questo meccanismo?
Se il paragonarsi agli altri è un comportamento radicato nel tempo, interrompere la spirale disfunzionale sarà un lavoro impegnativo, ma possibile, con l’aiuto della psicoterapia.
Il primo passo
Il primo passo è capire il proprio modo di essere. Ogni persona ha caratteristiche uniche che la definiscono e che fanno parte della propria identità: valori, qualità, risorse, aspirazioni, sensibilità, difetti, limiti, la propria esperienza.
Il secondo passo
Il secondo passo consiste nello scoprire il proprio scopo nella vita: concentrarsi sulle proprie mete e distinguere quali sono legate alle aspettative altrui. Spesso pensiamo di avere chiari i nostri obiettivi, ma, riflettendoci attentamente, ci rendiamo conto che potrebbero essere influenzati dal desiderio di compiacere gli altri o di dimostrare il nostro valore a noi stessi e agli altri per ottenere conferme e accettazione.
Il terzo passo
Il terzo passo è darsi il permesso di commettere errori. È comune che l’errore venga erroneamente associato al fallimento personale. A volte si evita di commettere errori per paura di deludere gli altri e di essere mal giudicati. Spesso la paura di sbagliare implica il pensiero “tutto bianco/tutto nero”: un errore di pensiero che fa pensare che aver commesso un errore equivalga ad essere totalmente falliti, totalmente inadeguati. Il pensiero “tutto bianco/tutto nero” è frequente nelle persone che, sentendosi inadeguate, spostano sul proprio aspetto fisico, e quindi sul comportamento alimentare, la ricerca di perfezione per sentirsi accettate, rendendosi così particolarmente fragili ed esposte al giudizio esterno e ad un implacabile giudizio interno.
È importante riconoscere questi meccanismi disfunzionali per poter ritrovare la propria direttrice interna, dove risiedono i propri reali bisogni, le attitudini, le motivazioni ed i propri valori.
Alcune domande per riflettere
- Esistono azioni che compi per dimostrare il tuo valore rispetto agli altri?
- Continueresti a compiere tali azioni anche in assenza di confronti esterni?
- Quali sono i bisogni che identifichi come prioritari in questo momento della tua vita?
- Sei certo che le attività che stai svolgendo siano in sintonia con te stesso e che non stai cercando di adattarti e sacrificando ciò che per te è essenziale?
- Quante volte hai preso decisioni nella tua vita basandoti sul confronto con gli altri, senza considerare se fossero in linea con i tuoi valori?
- Quali parti di te senti di aver trascurato nella tua esistenza?
- Cosa significa per te commettere errori?
- In che misura la paura di fallire influenza le tue decisioni?
- Quanto questa stessa paura si intreccia con il timore di deludere qualcuno?
- Come ti parli internamente quando ti confronti con gli altri?
Il mio augurio è che questo breve articolo possa stimolare in te che leggi, delle riflessioni utili a migliorare te stesso.
Buon cammino di emancipazione.
Dott.ssa Paola Fraschetti
Psicologa Psicoterapeuta